La
crisi americana sarà breve
Di
Carlo Pelanda
Quanto
l’eventuale crisi economica negli Stati Uniti potrà avere un effetto depressivo
sull’economia europea ed italiana? Ma ci sarà la crisi? Le due domande appaiono
sui giornali da molti mesi. Ora devono trovare risposta perché in America le
tendenza recessiva è evidente. Prova ne è l’annuncio di stimoli economici
d’emergenza.
Da un lato,
l’economia statunitense non è più così centrale in quella mondiale come lo è
stata negli ultimi decenni. Nel mondo, infatti, ci sono nuove locomotive,
giganti demografici quali la Cina
e l’India, che lasciano prevedere una futura economia globale a più traini e
non più a uno solo. D’altro lato, per molti anni ancora l’economia statunitense
manterrà il ruolo di locomotiva centrale. La Cina e altri Paesi asiatici fanno più del 30% del
loro Pil attraverso esportazioni negli Usa. L’economia europea ha avuto un
piccolo boom, dal 2005 al 2007, grazie alla domanda di macchinari e grandi
sistemi nell’Asia in rapida industrializzazione, nonché beni di lusso da parte
dei nuovi ricchi. Tale tipo di domanda è stata ed è poco sensibile al cambio
decompetitivo dell’euro e ciò ha favorito l’industria tedesca. La crescita in
Germania poi ha vitalizzato quella europea in generale. Le industrie italiane
hanno goduto del picco di domanda asiatica indipendente dal cambio (lusso,
macchinari speciali, componenti per l’industria tedesca) ed hanno aumentato le
quote di mercato non dipendenti dagli andamenti americani. Ma se l’America
importa meno beni dall’Asia questa a sua volta importerà meno sistemi e beni di
lusso da noi. In sintesi, l’economia europea ed italiana possono soffrire molto
per una recessione in America anche se questo mercato non è più così centrale
come nel passato. Pertanto i destini Usa ci interessano, eccome. Inoltre nel
2009 la Cina
rallenterà la propria crescita interna comunque per il venire meno dei megainvestimenti
infrastrutturali legati alle Olimpiadi 2008.
Cosa
succederà? L’America è andata in tilt sul piano dei consumi. Nel boom 2002 –
2006 la gente ha preso impegni di spesa superiori alle capacità. Nel frattempo
il costo del debito privato (tassi) è aumentato. Molte famiglie hanno smesso di
pagare i mutui e/o fanno fatica a reggere le rate della carta di credito, frenando
i consumi e provando pessimismo. Le imprese vedono recessione all’orizzonte e
frenano gli investimenti. Le Borse vedono tale fenomeno e fanno calare i
titoli. Così si è messa in moto una “catena” di eventi recessivi. Dobbiamo
temere il peggio? No. Il modello americano offre garanzie economiche in modo
opposto a quello europeo. Invece che dare soldi pubblici e protezioni
garantisce la crescita del mercato, cioè delle opportunità di lavoro e reddito.
Per questo tutto il sistema politico statunitense è sempre molto veloce nel
reagire ai primi sintomi di recessione. E lo fa, appunto, non aumentando la
spesa pubblica, o non tanto, ma tornando più soldi ai cittadini in difficoltà,
cioè detassando, per stimolare ottimismo e consumi. Nella crisi del 2001 Bush
tornò dai 300 ai 600 dollari alle famiglie e la Fed ridusse il costo del denaro quasi a zero. Nel
2008 ne lascerà dai 600 ai 1.200 e la Fed taglierà sostanzialmente i
tassi. Nel 2008 lo stimolo fiscale sarà più forte perché la crisi è concentrata
nel debito privato delle famiglie. Funzionerà? Molto probabilmente sì, con solo
il dubbio del prezzo del petrolio che se non cala può aggravare la crisi. Ma
non è interesse dei produttori creare una recessione globale. In conclusione,
la prima parte del 2008 sarà grigia, ma nella seconda il treno americano
ripartirà.
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